“La pratica della gentilezza è una scelta, e per esercitarla ci vuole coraggio”.
Nel suo ultimo libro, Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose, Gianrico Carofiglio offre molti spunti sulla pratica della politica e del potere, rivolti non solo a chi il potere ce l’ha e lo esercita, ma anche verso chi il potere apparentemente non ce l’ha: i cittadini. Noi.
La gentilezza definita nel libro una virtù guerriera non è intesa come la buona educazione, la mitezza e l’uso delle buone maniere. Non è l’attitudine a ritrarsi dal conflitto, ma anzi, la sua pratica ci porta ad accettarlo come inevitabile elemento delle relazioni sociali.
Con un parallelismo molto chiaro e incisivo, com’è nello stile di Carofiglio, all’inizio del libro si parla delle arti marziali dove la migliore azione è quella minimamente distruttiva. Alla forza dell’avversario non deve essere opposta altra forza, ma la cedevolezza, la non durezza, si sfrutta la forza dell’avversario per fargli perdere l’equilibrio.
In questo modo si ha una duplice azione: da un lato si disattiva la forza dell’avversario e dall’altro si attua una funzione pedagogica, con la quale si comunica a chi ci sta di fronte che quello non è un buon modo di procedere, che esistono altri modi per portare avanti il confronto.
Sempre più spesso nei dibattiti politici si assiste a delle vere e proprie risse scomposte nelle quali l’unico scopo del confronto sembra essere la prevaricazione sull’altro.
Dal conflitto possono invece derivare molte cose, tra le quali la tolleranza e la mediazione. E dove se non nella politica la mediazione è maggiormente auspicabile?
L’ambiente politico, ma non solo quello, è popolato da buoni comunicatori e da efficaci manipolatori. I primi, che spesso coincidono con i grandi leader, trasferiscono contenuti. I secondi invece, in quello che dicono non vi è contenuto ma solo la sua apparenza. Questi si servono di fallacie – errori nella costruzione del discorso, che ne invalidano le argomentazioni – dalle quali bisogna imparare a difendersi e delle quali bisogna imparare a non servirsi seppur in modo involontario.
Nel libro non mancano esempi e riferimenti concreti e attuali dell’uso fra i politici di questi che sono veri e propri imbrogli, che fanno di chi se ne serve, né più né meno di un baro ad un tavolo da gioco.
C’è bisogno di imparare ad esercitare la gentilezza, in politica ma anche nella vita di tutti i giorni, considerando che: “La questione fondamentale non è capire se il conflitto ci piaccia o meno. La questione fondamentale è capire che il mondo funziona attraverso il conflitto, ci piaccia o meno”.
Questa virtù è storicamente e culturalmente attribuita alla donna, perché l’uomo macho non evita lo scontro, anzi, lo cerca e nello scontro tenta di prevaricare l’altro.
In questo senso abbiamo bisogno non solo di politiche femminili, ma di un fare politica al femminile, per tutti, donne e uomini, maschi e femmine.
Perché la gentilezza non è sinonimo di debolezza ma anzi, ad esser gentili ci vuole coraggio.