La parola vulvodinia identifica la presenza di un dolore diffuso che affligge la zona vulvare e dura da almeno tre mesi. Questo dolore, che può essere provocato dal contatto o essere spontaneo, viene descritto come bruciore, prurito, punture di spillo, fitte simili a coltellate, sensazione di scariche elettriche, dolore simile ad una contusione.
La vulvodinia affligge dal 10% al 28% delle donne in età fertile, il che significa che ne soffre fino ad una donna su 4.
Per chi soffre di vulvodinia spesso è molto doloroso anche solo portare un paio di pantaloni attillati o stare seduta ed è impossibile avere un rapporto sessuale senza provare dolore. Si può quindi immaginare quanto questa patologia sia invalidante e quale impatto abbia sulla qualità della vita di molte donne influendo negativamente nello svolgimento di attività quotidiane, nelle relazioni sociali, nell’intimità e nell’attività sessuale.
Spesso chi soffre di dolore vulvare cronico non ne parla e soffre in silenzio, per vergogna, paura di perdere il partner o di essere stigmatizzata. Molte donne che soffrono di vulvodinia riportano vergogna, poca autostima, sensazione di inadeguatezza, ridotto desiderio sessuale, difficoltà nel raggiungere l’orgasmo e hanno una visione negativa della sessualità. Spesso, a causa della mancanza di sintomi visibili, si sono sentite dire che il dolore era psicogeno, tutto “nella loro testa”.
Ma la vulvodinia esiste e dalla vulvodinia si guarisce.
Il dolore che caratterizza la vulvodinia è un dolore di tipo neuropatico, alla vista la zona appare integra e non lesionata, ad essere danneggiata è la parte del sistema nervoso che porta le informazioni da e per quel tessuto. Il dolore cronico causato dalla vulvodinia può indurre una sensibilizzazione del sistema nervoso centrale, in cui l’elaborazione del dolore è alterata. A causa della continua stimolazione, dovuta al dolore cronico ma non solo, i recettori del dolore possono modificarsi aumentando la loro sensibilità ed eccitabilità. Ciò significa che uno stimolo a cui prima era associata una risposta di dolore molto bassa, ora può determinare un dolore molto intenso (iperalgesia). Inoltre, anche uno stimolo normalmente letto dal nostro cervello come stimolo non doloroso, ad esempio un semplice sfioramento, ora potrebbe essere interpretato come doloroso (allodinia). Le modificazioni possono coinvolgere anche la plasticità sinaptica, alterando l’anatomia e la fisiologia dei neuroni di alcune aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione del dolore. Tutti questi cambiamenti sono reali e, oggi, misurabili, anche se l’assenza dello stimolo doloroso originario porta spesso le persone, ma anche i clinici meno aggiornati, a concludere che il dolore sia “un’invenzione” della paziente aumentandone frustrazione, senso di solitudine e gravità del problema.
Le cause di questa malattia non sono chiare e numerosi fattori concorrono nella comparsa e nel mantenimento dei sintomi quali: predisposizione genetica, disfunzioni del pavimento pelvico, fattori ormonali (riduzione degli estrogeni circolanti), alterazioni morfologiche avvenute durante lo sviluppo embrionale, infezioni ricorrenti, lesioni (anche chirurgiche), traumi psicologici e abusi sessuali. Inoltre, più della metà delle donne che soffrono di vulvodinia sono affette da altre patologie croniche come sindrome di affaticamento cronico, sindrome dell’intestino irritabile e infezioni frequenti.
Un discorso a parte va fatto per ansia e depressione. Esiste una relazione bidirezionale tra vulvodinia e manifestazione di ansia e depressione. È stato dimostrato che le donne che soffrono di ansa e disturbi dell’umore hanno una possibilità quattro volte maggiore di sviluppare vulvodinia e che a sua volta la vulvodinia è causa di ansia e depressione. Il dolore provocato da questa patologia è infatti associato alla manifestazione di depressione, ansia, disturbi dell’umore, catastrofizzazione del dolore, paura del dolore e ipervigilanza. In questa sfera gioca un ruolo fondamentale il supporto del partner, numerosi studi hanno dimostrato che il mancato supporto del partner è associato ad una maggior percezione del dolore in risposta ad uno stimolo tattile, all’aumento di sintomi depressivi e ad una visione negativa della sessualità. Al contrario, l’incoraggiamento e l’empatia del partner, così come un dialogo condiviso sulla sessualità, hanno un impatto positivo sia sulla percezione del dolore che sull’attività sessuale.
Il dolore vulvare cronico compare su testi di letteratura medica sin dall’800 ma solo recentemente gli si è dato un nome e si è cominciato a parlarne. Moto spesso la diagnosi di vulvodinia avviene dopo aver consultato molti specialisti con conseguente frustrazione e senso di abbandono da parte delle pazienti che si sentono sole di fronte ad un dolore molto forte, senza un’apparente causa visibile e che riduce notevolmente la salute psicofisica e la qualità di vita di chi ne soffre. Per questo motivo è fondamentale parlarne e consultare uno specialista perché dall’”inferno di fiamme” della vulvodinia si può uscire.
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