Il Corpo della donna nell’arte

Piccola indagine tra mezzo e messaggio.

COMPROMECTIDA: parola ideale che rappresenta lo stato di impegno e compromissione di tutta se stessa in una performance

Sin dalle prime rappresentazioni grafiche nella storia della civiltà umana, il corpo della donna è stato soggetto di raffigurazione in sculture, dipinti e via dicendo. L’uomo (inteso come Mammifero dell’ordine Primati, famiglia Ominidi, genere Homo ➔ Ominidi.) ha rappresentato il corpo della donna come amuleto di fertilità, Dea, madre, guerriera, seducente intrattenitrice, femme fatale, compagna, moglie, musa.
Ma ripeto, “ha rappresentato… il corpo della donna”.

Dalla “Venere Paleolitica” (circa  23 mila anni fa), all’armonia dell’”Afrodite di Milo”, meglio conosciuta come la “Venere di Milo” (130 a.C.), alla carnale figura nel “Ratto di Proserpina” del Bernini (1621/1622), sino alla seducente “Olympia” di Édouard Manet (1863) e alle nude “Demoiselles d’Avignon” di Pablo Picasso (1906/1907) la rappresentazione del corpo femminile nell’arte è stato per la maggior parte delle volte, eseguito e voluto da uomini che ne hanno approcciato l’esecuzione in modo variabile a seconda della finalità dell’opera ma anche del contesto dell’epoca.

Ci troviamo davanti ad un’immensa carrellata di soggetti iconici, celebrativi, religiosi e lussuriosi, in cui abbiamo un corpo che naviga tra riti ancestrali e inconscio, ma pur sempre esibito come orpello e vezzo, tanto quanto una nuova artiglieria o un bell’abito. Dipinti e sculture che a volte sono doni o inni di un amore segreto commissionati per placare l’animo di giovani cortigiane o per far parte del corredo nuziale.
Poche donne hanno visto emergere la propria arte perchè offuscate da compagni famosi e celebrati dalla società, o perchè sino ad un certo anno non era consentito alle donne dedicarsi all’arte. Tra le più conosciute abbiamo Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Camille Claudel, Frida Kalo. Alcune di queste hanno traslato l’immaginario classico del corpo della donna e lo hanno evoluto a mezzo di “narrazione”.

Frida Kahlo, Le due Frida, 1939, Colore a olio

Arrivando all’arte contemporanea, non abbiamo più il luogo fatto dalle immagini così come le conoscevamo. 

L’immagine nel senso classico del termine, è stata traslata, al giorno d’oggi, in social, rotocalchi ecc. Diviene fatto “ambientale” quindi più ampio e inclusivo. 

Prendiamo per esempio il bar della biennale di Venezia, realizzato dall’artista Tobias Rehberger…tutto è opera: i tavoli, i colori, l’effetto optical, gli specchi. Entrando dunque in quel luogo atto per accogliervi e intrattenervi, entrate dentro un’immagine creata da un artista, per voi.

“Il termine immagine nel contemporaneo si estende dunque a spazialità polisensorialità, rumore, temporalità.”

BINOMIO UOMO / DONNA NELL’ARTE
Nel corso dei secoli il binomio uomo/donna è riassumibile nel concetto della diversità. Ma leggendo “Manifesto Cyborg” di Donna Haraway la riflessione che nasce è che il binomio uomo/donna come quello uomo/animale o umano/macchina sono assunti in realtà come simili. Ritorniamo dunque all’analisi del concetto della diversità.
Ma la diversità è reale?

Marina Abramovic e Ulay, durante la performance “That Self”, Bologna, 1977

Sì, se ragioniamo in termini di conoscenza dell’altro, mentre NO, se poniamo l’empatia come mezzo di continuità tra i due sessi.
Tendenzialmente la prima reazione che abbiamo nei confronti dell’altro è una reazione di aggressività, citando il filosofo Lévinas …”il primo approccio nei confronti dell’altro è di paura e aggressività e subito dopo abbiamo invece una possibilità di simpatia e comunanza, sino ad un senso di comunione e unione.” 

Noi donne abbiamo dovuto esasperare la diversità maschio/femmina per potere affermare il nostro ruolo, 
ma con attenzione a non fare dell’uomo una vittima ma un paritario.

Questa introduzione per riflettere sul fatto che la donna in arte arriva ad utilizzare il proprio corpo in un’opera per innescare una relazione con l’Altro (non necessariamente maschile). Per Altro intendiamo l’essere umano, lo spazio, la macchina, l’animale e la società. Abbiamo dunque un dualismo molto più ampio e ricco di azioni/reazioni.

Nella performance “Rhythm 0” di Marina Abramovic (1974), ad esempio, l’artista si espone alla libertà di azione del pubblico che poteva operare su di lei atti di vario genere utilizzando oggetti offerti loro su un tavolo.

Il corpo dell’essere umano, ma in questo caso donna, crea una sorta  di esperimento sociale in quanto l’opera non stava in un’artista ferma immobile, ma nella “piece” in cui gli uomini spinti dalle loro compagne (dettaglio documentato), compivano gesti anche di notevole violenza. Abbiamo dunque un’esposizione del corpo della donna che denuncia meccanismi sociali e ancestrali all’interno di un gruppo di persone.

“Lo sviluppo artistico trasforma l’astrazione dei rapporti sociali nei quali siamo immersi, in figure corporee [e] si dà ormai in termini non tanto immateriali in quanto biopolitici”
Antonio Negri

CHANGE
Da qui in poi la Pittura e Scultura rimangono arti utili ma non sono più sufficienti, si sono sviluppati nuovi linguaggi quali videoarte, installazione, performance art, body art. Nessuna epoca come la nostra ha infatti visto fiorire tante tecniche differenti di rappresentazione e comunicazione e mai nessun’altra epoca, ha dato tante possibilità di mezzi di comunicazione.

La storia contemporanea ci vede in un mondo in cui i dualismi si moltiplicano e dove la civiltà è in continua mutazione.

Tale concezione non solo ha cambiato l’approccio alla vita concreta di ogni giorno, ma ha anche mutato i mezzi artistici con cui sperimentare oltre che variare i temi da trattare. L’artista ha così iniziato a valutare il proprio corpo (o “non corpo” nel caso di Doris Salcedo nell’installazione Untitled del 2003) come mezzo artistico, nel caso in cui la tematica dell’opera sarebbe stata difficilmente riconosciuta come arte, se non tramite un mutamento ed un’estremizzazione della tecnica.

L’opera che utilizza il corpo esce anche dalle strutture adibite all’arte e cerca nuovi domicili che spesso sono luoghi sociali come strade o piazze oppure luoghi aperti in cui ufficializza il rapporto con la natura circostante. Il fatto ancora una volta, di trovare e osare nuove soluzioni, si presenta come necessità di ricercare nuove forme di dialogo per essere ascoltate.

Nel corso del 900 ci si è sempre più avvicinati alla rappresentazione di varie tematiche tramite il proprio corpo, ma le donne hanno a tutti gli effetti percorso maggiormente la strada della corporeità rispetto agli uomini. Un’arte che coinvolge il pubblico che a volte partecipa direttamente o ne fruisce passivamente.

Nel 1968 Rebecca Horn presenta una serie di performance in cui costruisce protesi di stoffa e materiali aderenti ai propri arti, in bilico tra alta moda scultorea e camicie di forza.

Arm Extension, 1968

Nel 1970 presenta “Unicorn”, un cappello a punta che le permette di entrare a contatto con la natura ed immergersi nella comunicazione con essa.

Einhorn (Unicorno)

Un’estensione del proprio corpo che rievoca i cappucci bianchi, le streghe, le vergini medievali, le fate, ma fa riferimento innanzitutto all’unicorno, animale che trae calma solo sdraiandosi sul ventre di una vergine.

L’artista diventa opera consacrata?
No. Il corpo della donna in relazione con lo spazio circostante diviene opera.
Dove sta la differenza? L’artista è una donna, con formazione, background, ecc, quindi caratterizzato da una serie di informazioni.
Il corpo della donna invece è un mezzo che fiorisce nel rapportarsi con l’ambiente circostante “creando”, il cosa, dipende dall’opera ovviamente.

L’arte performativa ha visto anche un utilizzo estremo e quasi tragico della fisicità. Pensiamo a Kira O’ Reilly, Gina Pane, Marina Abramovic, Ana Mendieta e tante altre.

Verso la seconda metà del secolo molte artiste iniziano ad esercitare l’arte performativa insistendo sul concetto di corporeità femminile.
Carolee Schneemann performer statunitense (LEONE D’ORO ALLA CARRIERA ALLA 57. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE DI VENEZIA) affronta la tematica del genere e della sessualità. Il suo lavoro si caratterizza per la ricerca nella tradizione visiva riguardante i taboo e il corpo dell’individuo in relazione con i corpi sociali. Abbiamo con lei performance che decontestualizzano il corpo femminile dalla classica visione e lo pongono come matita, mezzo, transito di azioni.

“The Cat is my medium”

Ad indagare invece, tramite il video, la resistenza e la resilienza del corpo nello spazio è Joan Jonas: una delle più importanti artiste femminili emergenti tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. I progetti e gli esperimenti di Jonas hanno fornito le basi su cui si fonda molta della performance video.È nata nello stesso anno in cui Walter Benjamin mandava in stampa “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, ma dimostra un moto di cambiamento perenne, una rivoluzione costante in cui i corpi sono architetture, paesaggi o attori intenti a vivere lo spazio come se ad esso fossero destinati in eterno.

Wind

Abbiamo però anche performance che rivendicano la corporeità femminile quasi a volerne dichiarare una volta per tutte la concretezza e poter mostrare per quello che è il corpo di una donna.
In fondo per anni abbiamo visto peni, masturbazioni (Vito acconci “Seedbed” – 1972), corpi nudi e crudi (Franco B) intenti ad autoflagellazione. Non mi capacito ancora che il corpo maschile sia UFFICIALIZZABILE per quello che è, mentre quello femminile è qualche cosa da proteggere, non mostrare o non indagare ecc. ecc.

A tal proposito Shigeko Kubota nel 1937, realizza “Vaginas Painting”,realizzata tenendo e muovendo il pennello con la vulva e stando accovacciata su una tela.

BASTA
Il corpo è urlo sociale, un manifesto di dichiarazione nelle opere di Regina José Galindo.

Regina Josè Galindo, Piedra, 2013, Sao Paolo, Brazil, glossy print on forex, 90 x 135 cm

La dimensione soppressa del Guatemala (suo luogo di origine), viene indagata, utilizzando il proprio corpo ponendolo in chiave politica e polemica per riattivare i traumi del rimosso e i resti della storia. 

L’artista realizza opere scomode e drammatiche. Il suo corpo minuto e all’apparenza fragile, è esposto ad una serie di azioni pubbliche che usano lo spazio metaforico dell’arte per denunciare le implicazioni etiche legate alle ingiustizie sociali e culturali, le discriminazioni di razza e di sesso e più in generale tutti gli abusi derivanti dalle relazioni di potere che affliggono la società contemporanea.

Un’artista che ha fatto del corpo il suo strumento di denuncia, di ricerca, di sperimentazione. 

“Un’immagine corporea è sempre in qualche misura la somma delle immagini corporee della società… e muta a seconda di colui col quale ci articoliamo.” Schilder (1935)

Potrei continuare a parlare di tantissime donne che hanno compiuto un balzo evolutivo sul piano della rappresentazione e del messaggio del corpo femminile nell’arte: Cindy Sherman’s, Marlene Dumas, Carol Rama, Vanessa Beecroft, Pipilotti Rist, Sam Taylor-Wood, Shirin Neshat, Orlan, Yasumasa Morimura e tante altre.

Queste artiste, hanno aperto a tutte noi la possibilità di uscire da uno stereotipo dogmatico socio-culturale. 
Hanno utilizzato il corpo come strumento di amplificazione di un messaggio, da urlare alla società che spesso non ha orecchi per ascoltare nè occhi per vedere.

Date una possibilità a nuovi linguaggi ogni qual volta vi si propongono e indagateli, solo così avremo un’evoluzione ma soprattutto una ri-voluzione.