Il fenomeno del trail-running tra passione e prevenzione

di Carlotta Viti e Gianpaolo Lucato – Fisioterapisti

Il running è una delle attività sportive in crescita esponenziale: l’ultimo rapporto ISTAT del 2017 sullo sport in Italia nel decennio 2006-2015 descrive un aumento numerico dei runners superiore al 50% rispetto al decennio precedente. E’ stata registrata inoltre una migrazione dei runner dalle corse classiche su asfalto (maratona e mezza maratona) alle gare su sterrato (trail, ultra-trail e sky running), discipline di nuova generazione in piena espansione, come si evince dall’aumento pari al 2900% del numero di manifestazioni nazionali, passate da 43 del 2014 a 1306 del 2019.

L’aumento degli appassionati non è però direttamente proporzionale a quello delle conoscenze scientifiche in merito alla preparazione specifica ed alla prevenzione degli infortuni. Tuttavia sappiamo che la corsa, seppur promotrice del benessere psico-fisico, può causare problematiche neuro-muscolo-scheletriche, soprattutto in atleti improvvisati o alle prime armi. Ad esempio una ricerca di Hespanhol del 2017 evidenzia il problema portando il dato di 10,7 infortuni per 1000 ore di corsa. Ciò significa che un runner che corre per un’ora 3 volte la settimana, corre circa 150 ore l’anno, esponendosi al rischio statistico di 1,6 infortuni a stagione.

Il running è caratterizzato da tanta passione, sfida con sé stessi, emozioni intense, rispetto per l’avversario e nuovi traguardi da raggiungere. Il mondo dei runner è molto eterogeneo tra atleti semi-professionisti, amatoriali, improvvisati e last minute. Questa diversità lo rende uno sport aperto a tutti ma sottopone chi lo pratica a disfunzioni da overuse ed infortuni frequenti. Inutile dire che il loro rischio correla con diversi fattori tra cui la preparazione, l’esperienza e l’affaticamento. Per ciò che riguarda il trail e ancor più l’ultratrail, la mancanza di dati non aiuta a definire iter di preparazione specifici, mirati a migliorare la performance e ridurrei il rischio, lasciando al fai da te la pianificazione dell’allenamento, la gestione alimentare e di integratori, la scelta delle attrezzature tecniche, la modulazione degli aspetti motivazionali e psicologici. Anche i più navigati, seppur forti di esperienza e conoscenza di sé, si affidano all’intuizione, imparando dagli errori e pagando troppo spesso sulla propria pelle il prezzo dell’autogestione. Molti di loro, provenienti dalla maratona tradizionale, portano la propria esperienza sullo sterrato, senza considerare che il salto tra le due realtà rende queste competizioni completamente differenti. Al di là del chilometraggio che nell’ultratrail supera di gran lunga quello della maratona, entrano in gioco variabili complesse come i dislivelli, la deprivazione del sonno, l’orientamento in piena natura, la visione in notturna, le alterazioni termiche e la variabilità del terreno che cambia ripetutamente a parità di scarpa. A certe quote si aggiungono poi la carenza di ossigeno, l’assenza di vegetazione con aumento di ipo/ipertermia, la presenza di passaggi difficili e pericolosi. Da non sottovalutare inoltre la presenza di tratti privi di assistenza dove il runner è solo per ore con le proprie forze, pensieri e paure, dotato solo di GPS e telefonino per chiedere soccorso. E’ evidente quindi che maratona e ultratrail sono difficilmente comparabili, soprattutto per ciò che riguarda la preparazione specifica e la prevenzione degli infortuni, siano essi internistici o neuro-muscolo-scheletrici.

Per questo è nato il “Running Project”. Voluto e promosso dai fondatori dell’asd “A piedi Nudi” di Bologna, il progetto contribuisce a colmare il vuoto di dati epidemiologici riguardanti il trail. Tramite un instancabile lavoro volontario di raccolta ed analisi dati, mira all’aumento quantitativo e qualitativo delle conoscenze scientifiche, indispensabili da un lato per stilare piani di prevenzione affidabili e dall’altro per migliorare la consapevolezza nella pratica della disciplina da parte degli atleti. Tutto ciò finalizzato a creare le condizioni per una performance migliore in maggior sicurezza, riducendo il rischio di infortuni e il tasso di ritiri dalle competizioni.

Anche nel 2019, in collaborazione con le Università di Bologna e Ferrara, A piedi Nudi ha ospitato all’interno del “Running Project” due studenti del corso di laurea in fisioterapia. L’esperienza teorico-pratica degli studenti Carretti Agnese e Camporesi Pietro è stata sintetizzata nelle loro tesi di laurea valutate con lode. Focus dei loro lavori i dati raccolti in due gare di Ultratrail: quella della Via degli Dei (UTVdD) -che va da Bologna a Fiesole- e quella delle Dolomiti Extreme Trail (DXT) con partenza e arrivo a Forno di Zoldo (BL).

Nelle due gare sono stati analizzati più di 700 questionari, dai quali è emerso che al DXT quasi 1 atleta su 5 non ha portato a termine la propria gara e che la metà di questi ritiri sono imputabili a problematiche muscolo-scheletriche. Dati simili sono stati riscontrati anche all’UTVdD dove i dati sono però in parte imputabili alle cattive condizioni atmosferiche. Sappiamo bene che questi infortuni sono per lo più prevenibili con programmi di allenamento ben pianificati, ponderati e graduali (Gijon-Nogueron G et Fernandez-Villarejo M 2015).

Dai dati raccolti il ginocchio risulta essere l’articolazione più colpita (17,2%). Inoltre il fattore di rischio più incisivo sul numero di infortuni con valenza statistica significativa (p<0.05) risulta essere l’esperienza di corsa, inversamente proporzionale al rischio e alle settimane di allenamento perse a causa di infortunio precedente. Questo dato ci dice che atleti esperti, probabilmente con maggior conoscenza e consapevolezza delle sensazioni e dei segnali provenienti dal corpo, hanno minore probabilità di incorrere in un infortunio. Confermata quindi l’importanza della prevenzione primaria come strategia più efficace per ridurre l’incidenza di infortunio che – più di ogni altro fattore – predispone a recidive (Saragiotto 2014).

L’esperienza diretta con gli atleti ci insegna anche che molti di loro associano gli infortuni traumatici ad affaticamento, spesso dovuto anche alla carenza di sonno e ad un rallentamento generale della reattività di corsa, soprattutto in discesa. E’ noto in letteratura che la carenza di sonno influisca negativamente sull’attenzione sostenuta e i tempi di reazione, competenze fondamentali per contenere gli infortuni nella corsa in discesa, soprattutto in percorsi difficoltosi come pendii montani con fondo irregolare (Banks 2007). Tuttavia mancano dati contesto-specifici e parametri oggettivi per mettere in sicurezza i runner in gara.

Proprio per questo, il team del Running Project – guidato dalla dott.ssa C.Viti e dal Dott. G.Lucato – ha già messo a punto un nuovo disegno per indagare l’entità quantitativa e qualitativa di questo fenomeno e le lesioni ad esso correlate in gara. Questo studio era previsto per giugno 2020 ma l’emergenza da SarsCoV2 ne ha imposto lo slittamento al 2021. Il team sta quindi contattando alcune associazioni di runner per fare rete e realizzare nel frattempo una indagine osservazionale preliminare allo studio del 2021. Chi volesse partecipare è invitato a contattare l’associazione A Piedi Nudi.