Il lato oscuro della corsa

Che la corsa abbia grandi benefici sulla salute psico-fisica di chi la pratica è ormai assolutamente comprovato da numerosi studi scientifici ed è testimoniato anche dalla presenza di questa attività nelle raccomandazioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per l’adozione di uno stile di vita sano e attivo, l’allungamento dell’aspettativa di vita e la riduzione delle principali cause di morte nel mondo occidentale tra le quali: accidenti cardiovascolari e tumori.

Tuttavia, in questi ultimi anni, si è assistito ad un aumento esponenziale delle gare e dei praticanti della corsa su lunghe e lunghissime distanze, una volta riservate a pochi temerari, guardati dal grande pubblico con un misto di ammirazione e diffidenza, la prima per le grandi imprese, apparentemente impossibili – vedi la Marathon des Sables, 240km nel deserto, più simile ad una prova di sopravvivenza che ad una corsa – la seconda, perché non si sapeva se ci si trovava di fronte ad un atleta o ad un folle, probabilmente ad un animale mitologico che ha caratteristiche comuni tra i due.

Questo fenomeno ha portato a chiedersi se il corpo, nonostante le sue eccellenti doti di adattamento, sia in grado di sostenere tali sforzi e se questo tipo di espressione della corsa sia adatto a tutti, ferma restando una adeguata preparazione, e se non comporti danni a lungo termine che andrebbero ad annullare e anzi a sorpassare i benefici di cui si è parlato prima.

I rischi di un runner di lunga distanza sono molteplici e possono essere raggruppati per momento di esordio in rischi durante la corsa: rappresentati dagli infortuni muscoloscheletrici (tendinopatie, distorsioni, lussazioni, fratture) che colpiscono circa il 50% degli ultrarunner, dalle problematiche cutanee (vesciche, abrasioni, ematomi subungueali) da problematiche gastrointestinali (vomito, diarrea, sanguinamenti gastrointestinali) e da problematiche metaboliche come l’EAH (Iponatriemia associata all’esercizio) che si può verificare anche dopo il termine della corsa.

In rischi a breve termine: ossia i rischi che intercorrono nei primi 2-3 giorni dopo una corsa impegnativa e che sono rappresentati dall’EAH (fino a circa 24 ore dopo l’esercizio), da un’infiammazione sistemica causata dalle lesioni muscolari, da un’iper-attivazione dell’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene) con aumento degli ormoni dello stress, dell’ormone della crescita e, nelle donne dell’estradiolo e dall’emolisi ossia da una riduzione degli eritrociti e dell’ematocrito con aumento della ferritina.
E infine in rischi a lungo termine i quali sono ancora poco conosciuti ma tra questi rientrano sicuramente l’overtraining, la dipendenza da esercizio fisico (bigoressia) e la sindrome RED-S ossia la sindrome da deficit energetico relativo nello sport.

Molto spesso, false credenze diffuse per lungo tempo in un ambiente sono dure da far scomparire e nonostante la scienza e gli esperti abbiano prove sufficienti per decretarne la morte, continuano a tramandarsi di persona in persona e a mantenersi in vita.
Una di queste credenze è che durante la corsa sia necessario bere ad intervalli regolari e addirittura si consiglia di bere fino a 800mL di acqua all’ora durante la corsa che non solo è un consiglio difficile da rispettare ma è addirittura pericoloso per la salute.

L’iponatriemia da esercizio, infatti, è una problematica riscontrata in circa il 30% degli ultramaratoneti, la maggior parte dei quali è asintomatico, ma nei casi più gravi può portare al coma e alla morte.
Questa problematica consiste in una riduzione (<135 mEq/L) della concentrazione ematica del Sodio, e questo può derivare o dalla perdita di soluti (Sodio e Potassio) o da un eccesso relativo dell’acqua corporea totale oppure da entrambi questi fattori.
Questa condizione si verifica per lo più per l’eccessiva assunzione di liquidi che porta ad una diluizione eccessiva del sodio ematico e al rigonfiamento cellulare per il processo di osmosi. Nei casi più lievi la sintomatologia consiste in vertigini, senso di avere la testa leggera e nausea, nei casi più gravi invece si ha vomito, stato confusionale con agitazione e delirio, deterioramento neurologico, coma e morte, queste ultime causate dall’edema cerebrale che porta ad una encefalopatia.
Il modo migliore per prevenire l’EAH è bere solo quando si ha sete e in modo moderato. Il meccanismo della sete è finemente regolato sulla necessità di assumere liquidi ed evitare la disidratazione, il nostro sistema renale è in grado di variare in modo preciso e sensibile l’eliminazione dei liquidi corporei in base alla loro disponibilità.

Affidarsi agli esperti e non su quanto dice il nostro compagno di allenamento o, peggio, su quello che: “si fa così perché si è sempre fatto così”, è fondamentale in uno sport estremo e complesso come è l’ultra trail running.
Essere monitorati periodicamente da esperti limita anche il rischio di incorrere in problematiche subdole che si instaurano gradualmente e che spesso passano inosservate ma che possono essere pericolose e soprattutto necessitano di lunghi periodi di recupero. Tra queste problematiche c’è l’overtraining che consiste in un calo della prestazione nonostante il mantenimento dei livelli di allenamento. Ciò è dovuto ad uno sbilanciamento tra periodi di lavoro e periodi di riposo, nei quali i tessuti si rigenerano e sono necessari al miglioramento della performance.


Un’altra problematica che rientra in questa categoria è la sindrome da deficit energetico relativo nello sport (RED-S) che si riferisce ad un compromesso funzionamento fisiologico a causa di una carenza di energia relativa, ed include, ma non è limitato, all’indebolimento di metabolismo basale, funzionalità mestruale, salute delle ossa, immunità, sintesi proteica e salute cardiovascolare. È causato da una bassa disponibilità energetica, dove l’apporto energetico individuale è insufficiente, una volta che è stato considerato il dispendio energetico per le attività fisiche e sportive, a far fronte alle necessità dell’individuo per sostenere un buon stato di salute, a un corretto funzionamento ed alle attività della vita quotidiana.

Nonostante sia possibile riscontrarlo in tutti gli sport, è particolarmente frequente in quelli in cui è importante la componente estetica, il controllo del peso e negli sport di endurance.
E’ fondamentale riconoscerne il più precocemente possibile eventuali segni ed individuare gli atleti a rischio per l’attuazione di un monitoraggio costante dei parametri anatomo-fisiologici che possono risentire di tale patologia.
Come anticipato nella definizione, RED-S è una patologia complessa che va ad intaccare molteplici apparati e funzioni tra i quali: quello immunologico, gastrointestinale, cardiovascolare, psicologico, ematologico, metabolico, endocrino, osseo e mestruale, queste ultime due, unitamente alla bassa disponibilità energetica formano la triade dell’atleta femmina, così chiamata perché inizialmente riscontrata nelle giovani atlete di sesso femminile, ma che ora, è ampiamente riconosciuta come patologia anche del sesso maschile.
Le conseguenze di questo sbilanciamento energetico sono molteplici e notevoli e vanno da problematiche psicologico-comportamentali come depressione, irritabilità, scarsa concentrazione, a cadute della performance con riduzione della forza muscolare, della coordinazione, della resistenza allo sforzo e conseguente aumento degli infortuni.
Risulta quindi fondamentale dosare l’attività fisica bilanciandola con il riposo psico-fisico, il sonno e una dieta quali- quantitativamente adeguata, affidandosi ad esperti del settore che hanno le competenze per riuscire a portarci al miglioramento della performance senza compromettere la salute.
Proprio perché la corsa è un ottimo mezzo per perseguire un corretto stile di vita che porta ad una migliore qualità e ad un allungamento dell’aspettativa, non dobbiamo perdere l’equilibrio attraverso il quale, necessariamente, passa il piacere di fare una corsa.
Quando si smette di correre perché ci fa stare bene, ma si corre perché altrimenti si sta male, probabilmente abbiamo oltrepassato il limite e siamo entrati nella dipendenza da attività fisica o bigoressia.
Questa patologia della quale soffrono molto triatleti e ultra runner, è definita come: “un bisogno irrefrenabile e compulsivo di praticare regolarmente e in modo intensivo una o più attività fisiche e sportive con l’obbiettivo di ottenere delle gratificazioni immediate nonostante le conseguenze negative a lungo termine sulla salute fisica, psicologica e sociale”.
Capita spesso di leggere sui social di runner che provano un certo orgoglio nel dire che sono dipendenti dalla corsa e sono felici di essere drogati di qualcosa di positivo. Il punto è che nessuna droga, nessuna dipendenza è positiva, nemmeno quella per la corsa.
Il piacere che porta una corsa è in parte dovuto alla produzione di endorfine che sono una classe di sostanze biochimiche, prodotte dal nostro corpo che si legano agli stessi recettori della morfina ma che possono arrivare anche a 30 volte la sua potenza (ß-endorfina). Questo aspetto, unito all’aura di prova di sopravvivenza che rivestono le gare di ultra trail e ai rischi che si corrono nel correre certe gare, possono portare alcuni atleti a non poter più fare a meno di correre, a non riuscire a riposarsi nemmeno da infortunati, a provare una vera e propria sindrome da astinenza che cessa solo alla ripresa dell’attività fisica.
Arrivati a questo punto la corsa smette il suo ruolo di buona pratica per il corpo e per la mente e assume quello di gratificazione effimera, della quale se ne vuole subito ancora e sempre di più in un circolo dal quale è davvero difficile uscire e che può portare a problematiche di salute.


Tutti i corridori, ma soprattutto quelli amatoriali, dovrebbero tenere bene a mente il motivo che li ha spinti a cominciare a correre, che la corsa è un modo per spogliarsi della frenesia dei ritmi che ci impone il lavoro, la società, il nostro quotidiano, e vestirsi di una solitudine che ci riporta ad uno stare al mondo più primitivo, più essenziale, per ritrovare, o mantenere, un equilibrio psico-fisico che sta alla base del benessere, dello stare bene e in salute, e che gli eccessi e le dipendenze, non sono mai positivi.