Il pilota di Formula 1 è un atleta

di Franco Nugnes – giornalista

Molti pensano di no, considerando che è seduto nell’abitacolo della monoposto per un’ora e mezza di gara. In realtà nel cockpit è sottoposto a sforzi fisici importanti che richiedono una preparazione psico-fisica accurata.

Il primo dato che è emerso da una ricerca svolta dal dottor Riccardo Ceccarelli in collaborazione con il CNR di Pisa è che la F1 è uno sport a tutti gli effetti, come dimostrano le elevatissime frequenze cardiache. Un campione di F.1 può arrivare a mantenere anche una media di 184 battiti al minuto per quasi due ore. Sono ritmi cardiaci che non hanno paragoni con nessun’altra disciplina sportiva. 

“All’attività muscolare e cerebrale – spiega Ceccarelli – si aggiunge la termo dispersione che costringe il cuore ad un ulteriore sforzo aggiuntivo nel tentativo frenetico di mandare quanto più sangue possibile alla cute che rappresenta il nostro radiatore”.

“In ultimo non dobbiamo trascurare l’effetto stressante conseguente alle intense accelerazioni laterali ed antero-posteriori che arrivano anche a determinare dei brevi e fugaci “collassi” con drammatiche cadute del battito cardiaco che istantaneamente scende da 170-160 a circa 60 battiti per poi tornare, dopo 3-4 secondi, ai valori precedenti. In pratica un pilota di F.1 deve essere muscolarmente resistente come un maratoneta, cerebralmente rapido e veloce come un giocatore di ping-pong e globalmente resistente agli stress come un pilota di caccia o un astronauta”.

Da un punto di vista fisico la preparazione giornaliera cura in modo particolare i muscoli del collo e quelli delle gambe e delle braccia. Nelle curve ad alta velocità si toccano accelerazioni laterali fino 6g che agiscono in particolare sulla testa del pilota. Ciò significa che è sottoposto a un carico di oltre 45 chili sul capo per ogni giro, mentre in frenata deve applicare una forza che arriva a 120 kg sul pedale del freno per rallentare in una staccata da 330 a 80 km/h in uno spazio minore di 100 metri!

Nel circuito di Yas Marina ad Abu Dhabi dove si disputa nel weekend l’ultimo GP della stagione 2020 ci sono quattro frenate molto selettive e trattandosi di un tracciato stop and go ci sono continue accelerazioni violente che richiedono una buona condizione fisica. I piloti si allenano quotidianamente in bicicletta e in piscina oltre che in palestra dove hanno bisogno di strumenti specifici proprio per curare i muscoli del collo.

Con l’abbigliamento ignifugo e il casco un conduttore può arrivare a perdere 3 kg di peso alla conclusione di un GP, visto che nell’abitacolo mediamente ci sono una cinquantina di gradi.  Ma finora abbiamo posto l’attenzione sulla preparazione fisica, mentre i piloti sono sottoposti a una grande dispendio di energia mentale.

“Un GP è costituito da due-tre brevi gare sprint comprese tra un pit-stop e l’altro. Il pilota cerca sempre di spingere al massimo delle sue possibilità. In realtà, se assumiamo che un giro da qualifica sia caratterizzato dal 100% delle risorse attentive, in gara questa percentuale scende leggermente perché il cervello non può umanamente riuscire a mantenere questa condizione massimale per quasi due ore”.

“Nelle fasi cruciali della corsa, ad esempio prima dei pit-stop, il conduttore cerca di spingere al massimo, esattamente come se fosse in qualifica, il tempo sul giro cala mediamente di 0”2/0”4 e la frequenza si alza di 15–20 battiti, a testimonianza di un impegno che da sub-massimale diventa massimale. Questo maggiore impegno non è a carico dei muscoli, ma bensì del cervello. Pertanto oggi possiamo affermare con sicurezza che il fattore limitante di una prestazione in gara per un pilota di F.1 non è fisico, ma mentale e per ottenere un miglioramento bisognerebbe aiutarlo a guidare per quasi due ore con lo stesso rendimento dei giri effettuati in qualifica. Praticamente è come cercare di far percorrere ad un maratoneta 42 km ad un ritmo da centometrista”.

Quasi tutti i piloti dello schieramento sanno sfruttare il 100% della monoposto che hanno a disposizione nel giro secco della qualifica, mentre le differenze fra i fuoriclasse, i campioni e i bravi piloti emerge in gara, quando i top driver riescono a mantenere alta la soglia della concentrazione, mentre altri accusano dei cali fisiologici.

“Non dimentichiamoci – prosegue Ceccarelli – che il pilota moderno mentre corre a 300 km/h deve dialogare via radio con l’ingegnere di pista e, soprattutto, deve gestire il volante-computer sul quale ci sono manettini e pulsanti con i quali deve cambiare alcune opzioni di set-up durante ogni giro. Sempre più spesso si trova a dover eseguire anche due o anche tre compiti in contemporanea e questo richiede una concentrazione sempre massimale”.

A Formula Medicine, quindi, gli studi si sono maggiormente focalizzati sul cervello del pilota: questionario psico-attitudinale, colloquio psicologico, misurazione dei livelli di stress con “macchina della verità”, simulatore di guida, tecniche respiratorie, di rilassamento, di attivazione e di imaging, test valutativi per la concentrazione, tempi di reazione e capacità visuo-spaziali…

“Sono prove che si fanno in un percorso valutativo finalizzato a sviluppare metodiche personalizzate per migliorare le performance mentali di ogni pilota – conclude Ceccarelli – . Possiamo affermare, che il campione di F.1 è cerebralmente molto più economico, ovvero riesce a raggiungere il massimo risultato mentale con una spesa energetica psico-fisica notevolmente inferiore e questo gli permette di mantenere le performance massimali per tempi più lunghi o di dedicarsi a più attività mentali contemporaneamente”.

“In parte questa caratteristica è genetica ed in parte è determinata da aspetti psicologici e caratteriali: ad esempio l’ansia prestazionale fa diventare l’atleta più dispendioso e quindi meno redditizio. Consapevoli del fatto che al pari di un muscolo anche il cervello può essere allenato, cerchiamo di migliorare le performance mentali dei piloti, riducendo al tempo stesso l’interferenza di tratti caratteriali negativi come un eccesso di emotività ed ansia. Per noi, infatti, l’economia mentale è un requisito fondamentale che può portare a notevoli miglioramenti in tutte quelle discipline sportive connotate da un intenso lavoro cerebrale”.