Questa favolosa avventura

di Claudio Bagnasco – podista amatore e autore di “Runningsofia. Filosofia della corsa”

Gli amici di A piedi nudi mi chiedono di scrivere l’editoriale per il numero di dicembre della loro pubblicazione, e io ne sono felice per almeno due motivi: intanto perché mi persuade lo spirito che anima l’associazione – dunque è per me un piacere collaborare con loro – e poi perché chiedere a un runner di parlare di podismo, beh, è come domandare a uno scacchista (quella degli scacchisti, si sa, è l’unica categoria umana più compulsiva di noi) di favellare su alfieri e regine.

Sono, io, un podista dall’equipaggiamento atletico modestissimo, tuttavia ho una certa dimestichezza con la parola: e così, non potendo ricambiare l’amore per la corsa con prestazioni memorabili, mi è capitato – e, come vedete, mi capita ancora – di scrivere di lei. È il mio modo, credo, per restituirle un po’ del bene che mi porta.

Devo però confessarvi il mio caratteraccio: infatti, se da un lato accolgo con soddisfazione il fatto che il podismo sia sempre più un fenomeno sociale (non è difficile accorgersi del numero sempre crescente di corridori), d’altra parte non mi piace chi prende subito la via della banalizzazione. Dico di quelli, ad esempio, che prestano più attenzione ai selfie prima, dopo e durante gli allenamenti che non a impostare una corretta tecnica di corsa; o di chi condivide sui social le istantanee di una corsetta di quattro chilometri a 5’30” (spesso aggiungendovi qualche orrenda frase motivazionale) convinto di avere infranto un primato europeo.

Ci si intenda: meglio loro, che comunque svolgono attività fisica, di chi trascorre il proprio tempo libero stravaccato sul divano a compulsare serie tv trangugiando birra tiepida e tacos.

Però però però. La corsa, come tutte le attività che rispecchiano la più profonda natura umana, ha un aspetto superficiale, di pronta spendibilità, che dà immediate (ma, ve lo assicuro, assai modeste) soddisfazioni; ma poi nasconde anche un mistero profondissimo e luminoso, che già si può intravvedere se ci si comincia ad allenare con continuità, allungando il chilometraggio ed entrando in un rapporto più confidenziale con la fatica. Ma per intraprendere questa favolosa avventura non si può (non si deve!) improvvisare; al contrario, occorre affidarsi a professionisti competenti e appassionati, proprio come quelli che animano A piedi nudi.

Cosa voglio dire? Voglio dire che, a chi impara a correre bene (dunque con la corretta postura, alternando sapientemente sforzo e riposo, alimentandosi in modo adeguato, e – da qui non si scappa – faticando sempre di più), piano piano la corsa spalancherà tutta la sua bellezza ineffabile, farà provare un ventaglio di emozioni straordinariamente ampio (e contraddittorio!), porterà a conoscere il proprio nucleo più primitivo e autentico. A prescindere, e questa è forse la notizia più confortante, da quanto si è forti.  La corsa è il più democratico degli sport: dà a tutti, campioni e mediocri amatori, le stesse gioie; chiede solo di essere esplorata a fondo.

Come dite? Cosa serve per iniziare questa favolosa avventura? Beh, a parte l’abbigliamento idoneo, due caratteristiche opposte: gradualità e tenacia. Senza la prima ci si stanca (o ci si infortuna) presto, senza la seconda… ma la seconda la possediamo tutti, suvvia.

E di più non dico, perché ad addentrarmi in discorsi tecnici in casa dei ragazzi di A piedi nudi, molto più esperti di me in quest’ambito, rischio di far figuracce.