Un piccolo percorso astratto, tre poetesse e tre fotografe, per scoprire nuovi parallelismi tra linguaggi diversi e intimi,
di donne che attraverso uno sguardo su loro stesse hanno creato un messaggio collettivo:
Siate voi stesse, non omologatevi, anche quando è scomodo agli occhi degli altri, anche quando fa paura, nutritevi di ciò che vi fa stare bene, siate resistenti, restate Vive.
“Lasciare spazio intorno ai gesti ordinari,
dargli una stanza,
li fa brillare,
permette che aprano un varco nell’oscurità in cui viviamo,
nel nostro quotidiano sonno.”
Chandra Livia Candriani
[da “Il silenzio è cosa vivi”, Einaudi 2018]
Se leggo questi versi di Chandra Livia Candiani e chiudo gli occhi nel tentativo di
tradurre il linguaggio verbale in un linguaggio visivo, sono innumerevoli le immagini fotografiche che affiorano.
Prima su tutte le fotografie di Nan Goldin, artista che a partire dal 1965 inizia a tenere un vero e proprio diario visivo della sua vita. Spontanea e diretta, ci restituisce la potenza e a volte la durezza del quotidiano, ci permette di osservarlo, di dargli spazio e attenzione.
“Quando ho cominciato a fare foto a colori, la gente mi diceva che quella non era arte, era vita reale ed erano scandalizzati dal fatto che qualcuno lo facesse. Secondo loro l’arte doveva essere immaginazione, cosa che io non ho mai avuto. Semplicemente tenevo gli occhi aperti. Il mondo è così strano, non avevo bisogno di immaginazione” [Nan Goldin]
Un lavoro di grande coraggio che fa affiorare nella mia testa, per parallelismo e significato, le immagini di Diane Arbus.
Certamente una delle fotografe più importanti del secolo scorso, Diane inizia a fotografare le persone che incontra al parco o a ritrarle senza filtri nella loro vita di tutti i giorni, i suoi soggetti preferiti saranno coloro che vivono nelle pieghe della società: gli esseri umani nella loro diversità, lontani dalla “normalità” data per scontata. Attraverso questi scatti le due fotografe ci invitano a riflettere sui pregiudizi che la nostra società preconfeziona per noi, sul nostro senso comune del costume davanti ad immagini prese dal quotidiano,
immagini che trattano di realtà, in ogni sua sfaccettatura.
Se dovessi tradurre il lavoro di Diane Arbus in parole chiederei in prestito la bellissima poesia di Susanna Casciani che recita così:
Resta viva.
Non accontentarti.
Porta i tuoi occhi a fare una passeggiata, appena puoi.
Non rinunciare ai tramonti, alla speranza.
Accetta la sofferenza. Accetta la felicità. Accetta la forza che a volte ti pervade.
Non lasciarti schiacciare da quello che è stato, da quello che non hai. Non farti portar via la gentilezza, la curiosità, la fantasia.
Continua a saltare nelle pozzanghere, se ti va.
Cambia pettinatura, cambia pelle. Cambia modo di vestirti e di truccarti, cambia abitudini, amicizie, luoghi e sogni.
Cambia spesso, ma lotta fino alla fine per non perderti.
Abbi cura di te,soprattutto quando tornerai ad amare. Abbi cura del modo in cui guardi gli altri.
Abbi cura del tuo amore, soprattutto adesso. Soprattutto quando non saprai a chi donarlo. Non gettarlo. Non sprecarlo. Tienilo da parte, ti servirà.
Piangi pure; piangi quando vuoi. Ricordati di farlo ogni tanto.
Ricorda che la cura, se davvero ne esiste una, sono le persone.
Non dimenticarti di loro. Delle loro mani. Dei loro guai. Delle loro storie piccole ma grandiose.
Non precluderti niente solo perché potrebbe distruggerti. Non sparire.
Resta, goditi lo spettacolo.
Resta coraggiosa.
Resta dolce.
Testa alta,
cuore in mano.
[Susanna Casciani “Meglio soffrire in silenzio che mettere in ripostiglio il cuore”]
In questo rapido viaggio immaginario la mente spazia e vengo riportata da queste
parole al linguaggio non-verbale, affiorano immagini di grande forza e bellezza scattate
da un’altra delle più grandi Fotografe del XX secolo: Tina Modotti .
Tina Nasce in Italia ma seguire il suo istinto nomade la porterà ad essere una meravigliosa
attivista durante la rivoluzione Messicana. In una fusione costante tra tensione
estetica e impegno politico, ci restituisce delle fotografie potentissime, scattate sulla
prima linea di una vita avventurosa senza compromessi. Se questa donna fosse stata
una poesia, per me sarebbe “Bambina mia”,
che recita così:
Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
E invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno.
Ira nelle periferie della specie.
E al centro,
ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi,credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te,ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di piu’.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella,
gioia piu’ grande.
L’amore è il tuo destino.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro. Nient’altro.
[ Mariangela Gualtieri
da ”Quando non morivo”, Einaudi 2019]
Chiudo così questo piccolo percorso astratto lasciando a voi il piacere di approfondire
il lavoro di queste artiste, tre poetesse e tre fotografe, di scoprire sempre nuovi parallelismi
tra linguaggi diversi e intimi, di donne che attraverso uno sguardo su loro
stesse hanno creato un messaggio collettivo:
Siate voi stesse, non omologatevi, anche quando è scomodo agli occhi degli altri,
anche quando fa paura, nutritevi di ciò che vi fa stare bene, siate resistenti, restate
Vive.
Raffaella Santamaria